mercoledì 30 aprile 2014

Autoritratto di editore: la storia di Contrasto in cinque titoli

La storia e il percorso della casa editrice Contrasto nel corso di venti anni di attività:  questo, in sintesi, il tema della conversazione che, nell’ambito del ciclo Autoritratto di  editore, si terrà lunedì 5 maggio alle 18 presso la bibliolibreria Plautilla (via Colautti 28-30). Partecipano  l’editore Roberto Koch e il direttore editoriale Alessandra Mauro. Ecco, di seguito, una piccola anticipazione dell'autoritratto.

Fin dal primo libro pubblicato nel 1993, Soldati di Giorgia Fiorio, il lavoro di Contrasto si è sempre caratterizzato cercando di seguire e proporre grandi autori e grandi storie della fotografia. Il primo libro di successo, che ha caratterizzato la successiva produzione editoriale, è stato La mano dell’uomo di Sebastião Salgado: un progetto fuori dal comune, frutto di un impegno del fotografo durato oltre sei anni. Un omaggio del grande maestro al lavoro manuale, in un’epoca in cui l’invasione tecnologica e la rivoluzione informatica iniziavano gradualmente a prendere il posto, che per secoli, era stato della manualità. All’epoca, nessun editore in Italia voleva scommettere su un libro simile (che era già un successo internazionale) ma l’intuizione di Contrasto ha dato ragione alla casa editrice nell’intravedere un possibile futuro, anche nel nostro paese, per i libri di fotografia.

Da allora la produzione è stata sempre caratterizzata dagli “irrinunciabili” (retrospettive dedicate a Henri Cartier-Bresson, Elliott Erwitt, William Klein, Ferdinando Scianna e altri ancora) come dai volumi che proponevano fotografi più emergenti e che, nel tempo, si sono confermati come in grado di proporre nuove visioni, nuovi modi per conoscere e interpretare, con la fotografia, il mondo (Jessica Dimmock, Léonie Purchas, Marc Asnin ma anche, prima di loro, Paolo  Ventura, Massimo Siragusa, Carl de Keizer, Jonas Bendiksen, ecc.).

lunedì 28 aprile 2014

I cinema perduti di Roma / 1: le prime visioni nel marzo 1976



I cinema romani (di prima visione) in un giorno qualunque del 1976: il 4 marzo per l'esattezza. Ecco la programmazione, con indirizzo e costo del biglietto.
Ognuno riconosca i suoi caduti ... Airone, Astor, Roxy, Smeraldo ... 

Adriano, Piazza Cavour 22 (Prati)

L. 2000
Roma a mano armata

Airone, Via Lidia 44 (Appio Latino)
L. 1500
Rapporto al capo della polizia

Alfieri, Via Repetti (Casilino)
L. 1000
Roma drogata la polizia non può intervenire

Ambassade, Via Accademia degli Agiati 57 (Ardeatino)
Lire 1800
Un gioco estremamente pericoloso

America, via Natale Del Grande 5
Tel. 581.61.68
L. 1600
Roma drogata la polizia non può intervenire

Antares, Viale Adriatico 15 (Monte Sacro)
L. 1000
La supplente

Appio, Via Appia Nuova 56 (Appio)
L. 1200
Attenti al buffone!

Ariston, Via Cicerone 19 (Prati)
L. 2000
Colpita da improvviso benessere

Arlecchino, Via Flaminia 27 (Flaminio)
L. 2000
La nuora giovane

Astor, Via Baldo degli Ubaldi 134 (Aurelio)
L. 1500
Marlow il poliziotto privato

mvl cinema/ La sedia della felicità

Raethia Corsini

Ormai è noto: la mia missione è difendere le opere piccole. Quando posso lo faccio da questo blog che accoglie voci plurali, come dovrebbe sempre essere. Sono andata al cinema l'altra sera. Ero esausta, reduce da una giornata di quelle nelle quali tutto s'infila nel verso che non hai deciso tu, a ricordarti che "avere il controllo della situazione" è sempre e solo un'illusoria concessione che la vita ci fa. Il cinema in questi casi per me è sempre un balsamo. Stavo per scegliere Gigolò per caso, per quell'abitudinaria certezza che se c'è Woody in qualche modo mi diverto. Poi passo davanti al Cinema Sacher (quello di Nanni Moretti) e vedo che di lì a poco sarebbe iniziata la programmazione di secondo pomeriggio del film La sedia della felicità. Abbandono l'idea di un Allen-Turturro garantiti e opto per la pellicola nazionale, con cast nazionalissimo: Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston, Roberto Citran, Natalino Balasso e (come si legge nei titoli) l'amichevole partecipazione di Katia Ricciarelli, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando. Il regista è il padovano Carlo Mazzacurati, morto il 22 gennaio di quest'anno. Di lui ricordo Il toro, con un inusuale Abbatantuono, un film a tratti surreale eppure così realistico. E poi mi rammento una frase a lui attribuita, che ha girato tanto in rete subito dopo la sua scomparsa: «Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre». Entro al cinema. La sala è gremita. Il film si apre su scene di vita quotidiana in un Nord Est tanto, molto reale. Poi il film si sviluppa in un intreccio, un thriller comico e gioioso con finale (apparentemente) surreale. I tempi comici di Valerio Mastrandrea sono perfetti così come gli sguardi e i piccoli gesti sempre eloquenti. Isabella Ragonese infonde a tutta la pellicola un'autentica levità recitativa, ed è credibilissima. 




Si ride di gusto, si sorride come nelle vere commedie e alla fine certe trovate, al primo acchito un po' esagerate, ci restituiscono invece la realtà delle contraddizioni della vita quotidiana deformate dallo sguardo del regista per amplificare l'idea (la convinzione, la realtà - ancora una volta) che è il caso a dominarci, che tutto avviene per caso: dagli incontri alle scoperte, dall'amore ai ritrovamenti di tesori. Ed è così (democraticamente) per tutti: belli e brutti, colti e incolti, istruiti e analfabeti, religiosi e laici, eleganti nei gusti e desideri o kitsch (come lo è la sedia del film) nei sogni e nelle aspettative. E Mazzacurati narra ogni protagonista con tenerezza, con gentilezza. «Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre». Sono uscita dal cinema Sacher confortata, con un minuscolo sorriso che mi ha accompagnato fino al mattino dopo, quando ho incontrato (di nuovo) il caso. E mi sono messa ridere.


Carlo Mazzacurati

Padova, 2 marzo 1956 – Padova, 22 gennaio 2014


regista, sceneggiatore, attore (in alcuni film di Nanni Moretti)


Presidente della Fondazione Cineteca di Bologna


domenica 27 aprile 2014

Le note di Leo/ Yudina, la pianista che sfidò Stalin

Un appuntamento con la musica, per traghettarci dalla domenica al lunedì.

Leonardo Castellucci*

Eccezionale virtuosa ed eccellente interprete di Bach, Beethoven, Mozart, Maria Yudina si adoperò anche per divulgare la musica a lei contemporanea e ebbe il coraggio civile di 'sfidare' Stalin.

Da wikipedia:
Maria Judina è anche conosciuta per essere stata la pianista preferita di Stalin. Una notte Stalin ascoltò alla radio il concerto per pianoforte in La maggiore di Mozart eseguito dalla Judina, domandandone poi una copia. L'esecuzione alla radio era dal vivo, perciò la pianista fu chiamata nel cuore della notte e portata in uno studio di registrazione dove una piccola orchestra era stata nel frattempo improvvisata. Quella notte dovettero cambiare ben tre direttori poiché i primi due avevano paura che la registrazione non soddisfacesse Stalin, e che questi si accorgesse che non era il concerto che aveva sentito. Solo il terzo direttore riuscì a confezionare la registrazione: si dice che Stalin scoppiò in lacrime fin dalle prime battute durante l'ascolto di quell'esecuzione. Dopo aver ricevuto il disco, Stalin ricompensò la Judina con una somma cospicua di denaro. La Judina lo ringraziò inviandogli una lettera in cui scriveva: «La ringrazio, ho però dato i soldi alla mia chiesa e pregherò per Lei perché il buon Dio La perdoni per tutte le atrocità che ha commesso verso il popolo». La Judina, considerando che la chiesa era messa fuorilegge e che si stava rivolgendo a Stalin in persona, straordinariamente e inspiegabilmente non subì nessuna conseguenza. Pare che alla morte del dittatore, quel disco fosse ancora sul suo giradischi.

Johann Sebastian Bach

Chromatic Fantasia & Fugue BWV 903
al piano Maria Yudina



*Leonardo Castellucci, fine conoscitore di musica, giornalista, scrittore, oggi direttore editoriale di Cinquesensi Editore.

L'incipit della domenica - Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli

“Nessuno più di Emilio De Marchi porta nella sua opera i segni caratteristici di un ambiente e di un'epoca. Milano, l'età umbertina: pieni di vita, qui, nei maggiori romanzi, entrano a buon diritto in migliaia d'altre pagine e ritroviamo sempre nello scrittore la loro presenza, amabile e dolorosa ...
Milano risale in De Marchi al Manzoni come al Parini, a Carlo Porta e a Carlo Maria Maggi, a diversi scapigliati, a tutta una cultura illuministico-positivistico-cristiana colta d'umanesimo. C'é anche il dialetto e il folclore in mezzo a questi esempi, non vi si scopre però mai il gusto astringente della provincia. E l'elemento umbertino non è solo costituito qui da impressioni e suggestioni rintracciabili in scrittori limitati come Bersezio, Gallina, Giacosa, quasi tutto Fogazzaro - o pittoreschi e meschini come i troupiers della carovana naturalista. I coetanei italiani cui De Marchi può venir meglio riferito si chiamano Verga, Pratesi, Collodi; nello sfondo s'intravede il prestigio di un Dickens, di un Balzac, di un Maupassant ... Mentre Gogol', Dostoevskij, Tolstoj formano già un chiaroscuro lusinghiero intorno al nostro scrittore”.
Fin qui Giansiro Ferrata. Con cui dissento: in parte il provincialismo si sente. Ma aggiungo: non sottovalutiamo, in era postmoderna, la rivalutazione estetica proprio delle angustie del provincialismo. Il corpo letterario plasma se stesso nel tempo. Oggi il profumo letterario del Demetrio Pianelli (storia di un impiegato costretto a sobbarcarsi cognata e nipoti in seguito al suicidio per debiti del fratello) appare non più quello d'una epoca semplicemente superata (come ai tempi del Ferrata), ma talmente remota da rilevare come favolosa. I gesti, le desuetudini linguistiche, le notazioni psicologiche, il decor tardo ottocentesco, che la postmodernità volgare ha liberato dalle scorie del passatismo, fan sì che il romanzo appaia ai nostri sensi grossolani come un territorio vergine, fitto di arbusti delicati, da riscoprire con indefinibile nostalgia.


sabato 26 aprile 2014

Laboratorio di traduzione: Philip Schultz, "Erranti senza ali. Uno"

Fiorenza Mormile
Con Uno entriamo nel cuore pulsante di Failure, ovvero nel lungo poemetto Erranti senza ali che con le sue quattro parti e le complessive cinquantotto sezioni costituisce da solo la seconda metà della raccolta. In questa prima parte Schultz, nei panni di dog sitter o meglio dog runner per necessità e per vocazione, ci accompagna lungo gli articolati sentieri delle sue peregrinazioni fisiche e mentali. Le quattordici sezioni numerate non seguono un ordine temporale lineare, ma saltano indietro e avanti nel tempo e nello spazio tenendosi al libero fluire dei pensieri e dei ricordi.  L’andamento ritmico presenta una versificazione più nervosa e contratta rispetto alle poesie precedenti, quasi a mimare l’alternanza rapida dei passi.                                       
Schultz riprende la tematica centrale della morte paterna  dilatandola e intrecciandola con la propria storia personale e con quella dell’intera N.Y. ferita dall’attentato dell’11 Settembre.  Vicende cronologicamente distanziate e tuttavia capaci di segnare rispettivamente sul piano privato e collettivo uno spartiacque, un insanabile iato. In Uno vediamo affacciarsi inoltre una diversa declinazione del tema della perdita che troverà nel prosieguo successivi sviluppi: attraverso la figura di Rusty, un cane molto amato avuto in dono dal padre, l’Autore condannerà l’inaffidabilità degli adulti. Servendosi con maestria della giustapposizione Schultz semina indizi e rimandi che pian piano collega in un’unica linea di senso : il proprio cervello bruciato da un elettroshock,  l’incendio delle torri e il fil di fumo agognato da Madama Butterfly nella celeberrima aria. La preferita, non a caso, da suo padre, tradito come la Butterfly dal sogno americano e forse per questo in qualche modo come lei suicida. Ma se tutte queste tragedie rappresentano crolli personali e collettivi rimandando al fallimento del titolo, la via del riscatto è comunque indicata e possibile. Il poemetto presenta una sua dimensione solare e positiva nell’apoteosi dei cani e di quanto affetto e conforto possano offrire ai loro “compagni forestieri”.  Il recinto metallico che delimita l’area cani di Washington Square diventa così una zona franca, privilegiata, dove camminando fianco a fianco i cani si ricaricano e gli uomini si scaricano del fardello di se stessi.
Come non ricordare a questo punto che Monteverdelegge discende dal sodalizio stretto dalle tre fondatrici nei quotidiani incontri a Villa Sciarra proprio in virtù dei rispettivi cani? Potremmo  istituire un gemellaggio tra le due aree verdi, un po’ come tra i comuni denuclearizzati…

venerdì 25 aprile 2014

"Casa nostra": storie di "resistenze" diverse. Un documentario su un welfare illegale


Roma Centocelle: via delle Acacie e una storia di occupazione iniziata due anni e mezzo fa. Ora quella storia è un documentario, si intitola Casa nostra ed è stato realizzato da Livia Parisi e Lucilla Castellano. Racconta di una sessantina di famiglie composte da italiani e stranieri, che hanno occupato una scuola in disuso. Occupazione strenua, sostenuta da uno dei Comitati di lotta per la casa più agguerriti di Roma, destinata a terminare forzatamente - pare -  in questi giorni. 
Nella capitale ogni anno vengono emesse sette mila sentenze di sfratto e sono quasi 30mila le richieste di alloggio popolare che arrivano al Comune. Restano per strada disoccupati, persone che non ce la fanno a pagare mutui troppo alti, lavoratori precari, anziani con la pensione minima che non arrivano  fine mese e non riescono a pagare un affitto. Sono questi i volti e le voci che animano il documentario Casa nostra, descrivendo un'emergenza diffusa; denunciando la mancanza di un reale progetto di edilizia residenziale pubblica e di cohousing sociale; facendo emerge anche una realtà di convivenza veramente multietnica dove in certe occasioni si condividono piatti e riti di diverse tradizioni culturali. E infine, ma non meno importante, il documentario è una preziosa testimonianza dei due anni di non facile (né sempre pacifica) occupazione, che ha di fatto dato vita a una sorta di welfare parallelo e illegale anche se "il progetto di autocostruzione" è stato presentato a un convegno al Parlamento europeo, come “esempio di riutilizzo di spazi abbandonati e modalità concreta per superare il problema abitativo”. 

Il film, presentato in anteprima al Festival del documentario di Bari, dovrebbe essere proiettato a Roma il 27 aprile 2014 alle ore 20.30 presso il Teatro Valle Occupato.

martedì 22 aprile 2014

Poesia: Kavafis inedito al Teatro Vascello

Paola Maria Minucci*

Un Kavafis davvero inedito è quello messo in scena dall’ormai noto poeta, critico e regista cipriota, Michalis Pierìs, con i suoi ragazzi del Laboratorio teatrale dell’Università di Cipro che sono già stati ospiti del Teatro Vascello nel 2010 con la rappresentazione del poema Erotokritos di Vincenzo Kornaros. Un Kavafis inedito perché Michalis Pierìs, con grande audacia e originalità creativa, tenta un’impresa fino ad oggi mai sperimentata, quella cioè di dare voce ed espressione alle molte presenze della poesia di Kavafis e alla progressiva drammatizzazione del suo racconto poetico. Un’operazione quasi impossibile, senz’altro rischiosa, che poteva portare avanti solo un profondo conoscitore dell’opera di Kavafis quale egli è, un lavoro dunque che è il coronamento e l’esplicazione scenica di un’acuta lettura critica. Un Kavafis quasi sconosciuto al pubblico italiano perché, accanto a sue poesie molto note, sono state portate in scena molte delle sue poesie “inedite e rifiutate”, nella traduzione di Massimo Peri, e alcune delle poesie incompiute, rese note grazie al lavoro e alla dedizione di Renata Lavagnini e ancora quasi totalmente inedite in Italia. I suoni, il ritmo, le modulazioni dei suoi versi in lingua originale saranno affiancati dalla traduzione in italiano degli interpreti ormai storici (Pontani, Risi-Dalmati) accanto alle più recenti rese di Massimo Peri (Poesie rifiutate e inedite), di Renata Lavagnini (Poesie incompiute), e infine a quella di chi scrive, limitandoci solo ad alcune delle tante traduzioni ormai presenti in Italia: una testimonianza della ricchezza e varietà dell’ispirazione kavafiana e insieme della sua grande fortuna nel nostro paese. 




* Paola Maria Minucci è professore associato di lingua e letteratura neogreca all'Università La Sapienza di Roma. Massima esperta di traduzione dal greco, nel 2006 le è stato conferito il Premio Nazionale di Traduzione per La materia leggera di Elitis e nel 2007  il Premio Nazionale per la Traduzione per la sua attività complessiva.


lunedì 21 aprile 2014

Storia del Necronomicon, il Libro Maledetto (e di H. P. Lovecraft, l'uomo che sussurrava nelle tenebre)

G. Luca Chiovelli

Articoli correlati:



- 700 circa. Abdul Alhazred nasce a Sana’a, nello Yemen, sotto il califfato degli Omayyadi.
- 730 circa. Abdul Alhazred scrive a Damasco Al Azif (Lovecraft: “Questa è la parola usata in arabo per indicare il rumore notturno prodotto da certi insetti, e che si crede sia anche il verso dei demoni”).
- 738. Abdul Alhazred, secondo lo storico del XII secolo Ibn Khallikan, muore in circostanze misteriose (il suo corpo, secondo persistenti versioni, fu straziato in pieno giorno da un essere invisibile: Lovecraft adombrerà tale resoconto semileggendario nel racconto The hound).
- 950. Teodoro Fileta a Costantinopoli traduce l'opera in greco col titolo Necronomicon (Descrizioni delle leggi dei morti).
- 1050. Il patriarca Michele ordina la distruzione delle versioni in greco. Il testo originale in arabo è considerato perduto.
- 1228. Olaus Wormius traduce in latino una versione greca superstite del Fileta. Nell’introduzione è data per certa la scomparsa dell’originale arabo.
- 1232. Papa Gregorio IX ordina la distruzione di tutte le copie, in versione latina e greca, del Necronomicon.
- XV secolo. Edizione tedesca della versione latina, stampata probabilmente a Norimberga.
- 1500-1550. Dicerie contrastanti e, forse, inattendibili: si parla di un’edizione italiana della versione greca; o, addirittura, d’una versione in volgare italiano distillata dall’erudito ed esoterista Giulio Camillo Delminio.
- 1580. John Dee inizia una traduzione inglese dell’opera che rimarrà allo stato manoscritto. D’essa sopravvivranno solo dei frammenti.
- XVII secolo. Edizione spagnola della versione latina.
- 1692. In un incendio d’una biblioteca privata di Salem viene perduto uno degli ultimi esemplari della versione greca.
- 1890, 20 Agosto. Nasce a Providence Howard Phillips Lovecraft.

domenica 20 aprile 2014

Patti Smith - Pasqua (Easter)


Era la Domenica di Pasqua, stavamo camminando.
Era la Domenica di Pasqua, stavamo parlando.
Isabel, piccola mia, prendi la mia mano. È giunto il momento.

Isabel, tutto è incandescente.
Isabel, tutto è sapere.
E il mio cuore, Isabel.
E la mia testa, Isabel.

Frederick e Vitalie, il Redentore abita in te.
Oh, il percorso conduce al sole. Fratello, sorella, è ora.

Isabella, tutto è incandescente.
Isabella, tutto è sapere.
Isabella, noi stiamo morendo.
Isabella, noi stiamo risorgendo.

Io sono la primavera, la Terra Santa,
il seme senza fine del mistero,
la spina, il velo, il volto della grazia,
l'immagine sfacciata, il ladro del sonno,
l'ambasciatore dei sogni, il principe della pace.
Io sono la spada, la ferita, la macchia.
Disprezzato figlio trasfigurato di Caino.
Mi lacero, muoio, ritorno.
Ancora una volta sono il sale, la risata amara.
Io sono il gas in un grembo di luce, la stella della sera,
l'occhio che reca e versa le lacrime di Cristo
morire e disseccarsi: io risorgo stasera.

Isabel, noi stiamo risorgendo.
Isabel, noi stiamo risorgendo ...

Le note di Leo/Buona Pasqua con Bach

Un appuntamento con la musica, per traghettarci dalla domenica al lunedì.

Leonardo Castellucci*

Resurrezione di Cristo - Pieter Paul Rubens (1616) - Palazzo Pitti, Firenze

 J.S. BACH Et Resurrexit 
Dalla Messa in Si Minore, BWV 232

Trasposizione musicale della Messa in lingua latina ("la messa cantata") la Et Resurrexit è un'opera che, come per molti altri lavori del compositore, ha visto la luce in una successione temporale durata dal 1724 al 1749. L'anno successivo Bach morì. 

Egidienchor Nürnberg
Direttore: Pia Praetorius


*Leonardo Castellucci, fine conoscitore di musica, giornalista, scrittore, oggi direttore editoriale di Cinquesensi Editore.

L'incipit della domenica - Jack London, Il tallone di ferro

E chi l'avrebbe detto? Nel pieno del trionfo delle democrazie liberali Il tallone di ferro sta tornando d'attualità. Goffredo Fofi definì l'opera "la bibbia popolare del socialismo scientifico"; socialismo rivoluzionario, ovviamente.
Lev Trotzskij, nel 1937, scrisse del libro: "Niente colpisce maggiormente nell'opera di Jack London che la sua previsione veramente profetica dei metodi che il Tallone di Ferro [il capitalismo] userà per mantenere il suo dominio sull'umanità calpestata. London si impone decisamente libero dalle illusioni riformiste e pacifiste, Nel suo quadro dell'avvenire non lascia assolutamente sussistere nulla della democrazia e del progresso pacifico. al di sopra delle masse dei diseredati s'innalzano le caste dell'aristocrazia operaia, dell'armata pretoriana, dell'apparato poliziesco onnipresente e dell'oligarchia finanziaria che corona l'edificio".
Il tallone di ferro (The iron heel), scritto nel 1908, rallegrò le biblioteche socialiste e comuniste, ma anche quelle fasciste del ventennio mussoliniano. Nello scritto si ritrovava la volontà che si ribella all'ingiustizia sociale attraverso la forza - la forza come slancio vitale da celebrare.
Comunisti, fascisti, populisti. Lasciamo a voi di capire cosa si agita oggi in Europa e nel mondo; chi sia il Tallone di ferro e chi vi si oppone. E perché London tornerà di moda.

Jack London
La brezza leggera dell'estate agita le sequoie e la Wild Water si frange con ritmiche cadenze contro le pietre muscose. Ci sono farfalle nel sole, e dovunque si leva il sonnolento ronzio delle api. C'è tanta pace e silenzio e io me ne sto qui, inquieta, a pensare. E' questa pace a rendermi inquieta: mi sembra irreale.
Una quiete profonda, ma è la quiete che precede la tempesta. Tendo dunque l'orecchio, e tutti i sensi, al primo segnale della tempesta imminente. Purché non sia prematura. Purché non scoppi troppo presto.
Sono inquieta con ragione. Penso, penso continuamente, è piú forte di me. Ho vissuto così a lungo nella mischia che la pace e la quiete mi opprimono e non posso impedirmi d'indugiare col pensiero su quel turbine di devastazione e morte che presto si scatenerà.
Già odo le grida delle vittime, già vedo, come nel passato, tanta bella e preziosa carne falciata e mutilata, tante anime strappate a forza dai loro nobili corpi e lanciate verso Dio. E' così che noi povere creature umane raggiungiamo i nostri scopi; solo attraverso stragi e distruzioni riusciamo a portare pace e felicità durature sulla terra!
Sì, sono sola. Quando non penso a quel che sarà, penso a quel che è stato, a ciò che non è più: alla mia Aquila, che batte l'aria con le ali instancabili, librandosi in eterno verso il suo sole, l'ideale radioso della libertà umana. Non saprei starmene inerte ad aspettare il grande avvenimento di cui lui è l'artefice, anche se non sarà presente al momento. Vi dedicò interi gli anni della sua vita, lo pagò con la vita. E' opera sua. Lo rese lui possibile.
Perciò, in simile ansiosa attesa, ho deciso di scrivere di mio marito. Io soltanto tra tutti potrò far luce sulla sua personalità, una personalità tanto nobile che tuttavia non sarà mai abbastanza nota. Era un'anima grande e, quanto il mio amore è scevro da ogni egoismo, il mio rammarico più grande è che lui non sia più qui ad assistere all'alba di domani. Non possiamo fallire: le basi che lui ha gettato sono troppo solide, troppo sicure.
Strapperemo via dal petto dell'umanità schiacciata il maledetto Tallone di Ferro. Al segnale della riscossa, le legioni dei lavoratori di tutto il mondo insorgeranno, e nella storia non si sarà mai visto nulla di simile. La solidarietà delle masse lavoratrici è assicurata, e per la prima volta scoppierà una rivoluzione internazionale, vasta quanto il mondo.
Sono, chiaramente, talmente presa da ciò che ci aspetta, che da tempo ormai vivo giorno e notte, sin nei minimi particolari, il grande avvenimento; anzi, non riesco a pensare a mio marito senza pensare a esso. Lui ne fu l'anima, come potrei separare le due cose nei miei pensieri?

sabato 19 aprile 2014

Bibliolibrerie, libri gratis, bancarelle: tre lampi nel buio della non lettura

Lampi nel buio: il buio dei non lettori e della morte del libro. I cittadini si organizzano e cercano, in modo quasi commovente, vista l'esiguità dei mezzi a disposizione, di contrastare la corrente universale.
Presso il centro commerciale Torresina (a un paio di chilometri da Torrevecchia) ha, infatti, aperto una bibliolibreria gratuita. Un piccolo box in cui poter scambiare, prendere e donare libri. Nientemeno.
Una operazione assolutamente sovversiva e coadiuvata da due realtà territoriali già affermate:
1. il Comitato di Quartiere Torresina: attivo sin dal 2006, devoto alla riqualificazione di tutta l'area (di recente costruzione e già ad alta densità abitativa), gestiste un parco locale e pubblica un giornale di quartiere molto interessante (‘Il Picchio’).
2. la benemerita associazione H2: nata nel 2011, essa, oltre a promuovere numerose sociali, è responsabile degli eventi ‘Libera Libri’, dove tale oggetto, urtante e misterioso, il libro apunto, viene rimesso in circolo gratuitamente (sinora la liberazione dei volumi è avvenuta in Prati, a Primavalle, alla Balduina et cetera).
Altro progetto parallelo alla bibliolibreria è il circolo Franca Rame, che "ha lo scopo di riscoprire la bellezza di autori, grandi e piccoli, attraverso la lettura e la condivisione di alcuni testi". Anche qui i tratti distintivi rilevano nella gratuità e nella condivisione: "La partecipazione è assolutamente libera e gratuita e chiunque potrà apportare il proprio contributo consigliando testi o suggerendo una prospettiva diversa di lettura".Benissimo. E ancora: "Organizzare queste risorse nel territorio significa rafforzare, laddove non vada proprio tessuta, la socialità; significa stimolare la curiosità e la fantasia; significa fondere cultura e amicizia in un’unica spirale. L’obiettivo è quello di creare un contenitore per numerose attività di promozione sociale e culturale. Socializziamo la cultura!"
* * * * *

Il box della bibliolibreria è situato sotto il centro commerciale vero e proprio.

Una area non intasata da carrelli e merci.
Nel film Zombie di George A. Romero (Dawn of the dead, 1979), un gruppo di sopravvissuti si asserraglia in un enorme centro commerciale. Lì viene assediato da centinaia di zombie, ansiosi di ritornare nei luoghi che frequentavano da vivi. Una potente metafora per affermare che sia i vivi si comportano socialmente da morti; da morti in vita, ipnotizzati (zombificati) dalla pubblicità e dal consumismo.
Che una libreria di tal fatta (e per di più gratuita: eresia capitalista) sorga nelle viscere di un ipermercato è anch'essa una bella metafora (e una tenue speranza).
Ogni bibliolibreria ha la sua pena. Un cartello (Wanted!) avverte i volontari della presenza di un accaparratore di libri (forse per scopo di lucro); il tizio si presenta, ammolla qualche testo gualcito e sporco e passa all'incasso. Già fermato con borsate di trenta e più libri. Gli accaparratori o i ladri (in una bibliolibreria gratuita!) sono figure folcloristiche inevitabili. Non gli si può opporre niente: son fatti così.
Lampo numero 2, stavolta a Primavalle, presso il mercato coperto di via S. Igino Papa.
Una volta il mercato (costruito nel 1955) era una realtà viva del quartiere: ora inclina all'abbandono e alla rovina. Le associazioni H2 e Hell's Valley (Valle dell'Inferno=Valle Aurelia), con la collaborazione di Radiostile e Patamu ha lanciato il progetto H2€uro. Prodotti biologici, manufatti artigianali e vinili hanno sostituito caciotte e salami fra i malmessi banchi del mercato al simbolico prezzo di 2 Euro. I libri, invece, erano esposti gratuitamente, come sempre accade quando è coinvolta l'associazione H2.
Dal sito Montemario.romatoday.it:
"E così, dal pomeriggio fino a tarda sera, tra i banchi del mercato si sono animati spazi dedicati al libero scambio di libri (l'ormai celebre ‘Libera Libri’, uno dei fiori all'occhiello tra le attività organizzate da H2), la degustazione di cibo e bevande nello spazio della pizzicheria, la Mostra Mercato Creativi Indipendenti, la distribuzione di libera musica. E poi ancora performance di improvvisazione teatrale, musica live e un Dj Set firmato Laowai della Cromedrop Family; il tutto reso ancora più colorato e accogliente attraverso le applicazioni dei così detti ‘Yarn Bombing’, i particolari lavori in tessuto rigorosamente realizzati a mano dell'associazione Hell's Valley. Una scommessa culturale e di riqualificazione, insomma, sempre sotto la stella della cultura gratuita e dell’intrattenimento a basso costo”.
Il terzo lampo è l'apertura, presso il mercato di San Giovanni di Dio, di un chiosco devoto al libro usato. Di questa iniziativa mi piace il tono basso: sugli scaffali convivono Harmony (ambiti, a detta del proprietario, dalle anziane frequentatrici del mercato), gialli, fantascienza, best seller, giornali, fumetti e un po’ d'antiquariato scelto (l'edizione Einaudi di Guicciardini domina severa il festoso bailamme).
Una piacevole anarchia, molto Seventies, che risolleva l'umore.
Tre lampi di fucileria.
Naturalmente queste sono scaramucce di retroguardia.
Quando un esercito si ritira e un altro incalza vittorioso, gli ultimi soldati sbandati e le truppe più avanzate vengono in attrito: si sparano colpi, si ammazza qualche gallina, qualcuno muore sul serio. Nessuno vince e nessuno perde: la guerra, infatti, è già decisa; tutti aspettano la fine dei giochi.
Qualche pallottola è bello spararla, però.